I Balcani occidentali nell’Ue? Una strada che abbiamo il dovere di battere per il futuro del Continente…

Qualche giorno fa il presidente francese Macron ha annunciato che il prossimo giugno si terrà un vertice europeo sui Balcani occidentali. 

Nelle ultime dichiarazioni dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza troviamo un inciso nell’ambito dell’adesione dell’Ucraina all’Ue. Borrell ha sottolineato che al di là di Kiev, non bisogna dimenticare che nei Balcani ci sono ancora sei Stati in attesa di adesione.

Si è parlato anche di Balcani nell’ultima riunione Ue dei ministri degli Esteri.

In queste ore leggiamo sui quotidiani nazionali che il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha incontrato il presidente della Repubblica della Macedonia del Nord per discutere dell’allargamento dell’Ente sovranazionale ai Paesi dei Balcani occidentali. Il medesimo punto è stato trattato dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, con il suo omologo croato. 

La chiave interpretativa per comprendere l’azione politica esercitata a livello europeo sui Balcani occidentali è probabilmente una sola, ed è la medesima che abbiamo proposto in altri scenari, quello relativo alla guerra in Ucraina e quello che riguarda la riproposizione del ruolo italiano nel Mediterraneo. L’Europa dovrebbe avere tutto l’interesse a sopire le varie instabilità ancora esistenti per evitare che a entrare nella partita siano altri Paesi, influenze esterne che nel caso dei Balcani occidentali potrebbero soffiare sul fuoco del rimpianto post-sovietico e dei nazionalismi, che proprio in quelle aree ancora convivono con le propensioni europeiste. Sebbene il sentimento europeo sia vivido a livello istituzionale e nella popolazione, i troppi anni trascorsi nel percorso di integrazione, insieme alle questioni ancora irrisolte con l’Ue, rischiano di cedere vantaggio, innanzitutto a Russia e Cina. 

La Bosnia ed Erzegovina è caratterizzata da una complessa organizzazione statale, all’interno della quale pesa la presenza della Repubblica serba, notoriamente alimentata da desideri secessionisti e molto vicina alla Russia, la cui intenzione è quella di creare instabilità per essere poi coinvolta nei processi di risoluzione (a suo vantaggio). Affianco alla cosiddetta etnocrazia della Bosnia ed Erzegovina, ci sono poi la Serbia che ha ottenuto dall’Ue lo stato di Paese candidato nel 2012, il Montenegro nel 2010, l’Albania nel 2014 e la Macedonia del Nord nel 2005. Tutti questi Paesi però, sebbene il riconoscimento conseguito, sembrerebbero essere molto lontani dall’integrazione effettiva. La Bosnia ed Erzegovina insieme al Kosovo poi, sono ancora più indietro perché ancora bloccati nello status di “potenziali candidati”. 

Da una parte i veti da parte di alcuni Paesi membri dell’Ue, dall’altra la mancanza di dialogo e in certi casi vere e proprie frizioni tra gli Stati dell’area (vedi il caso del Kosovo e della Serbia), insieme ai ritardi sul fronte delle attese riforme strutturali, hanno rallentato – in certi casi per oltre un decennio – il riconoscimento di tutti i Balcani occidentali all’interno della grande famiglia europea. 

Per quanto riguarda il versante delle riforme, un caso su tutti è rappresentato dall’Albania, dove ancora si riscontrano grossi problemi sulle politiche ambientali, la giustizia e la corruzione. 

Quello che però è importante sottolineare è che se l’ingresso dei Balcani occidentali in Europa stenta ancora adesso a strutturarsi è sia responsabilità dei governi regionali che dell’Ue. L’idea unificatrice che dovrebbe essere trasferita da ogni singolo Stato membro in quelle aree, affinché quei Paesi possano realmente sentirsi parte di un percorso comune, potrebbe trovare nella cooperazione allo sviluppo il suo motore principale. Prendiamo ancora una volta ad esempio l’Albania, da tempo sotto la lente d’ingrandimento di Russia e Cina, che proprio a fronte della sua arretratezza in alcuni campi nevralgici della politica europea, potrebbe beneficiare della nostra esperienza nel campo della criminalitá organizzata e della corruzione, delle infrastrutture e del contrasto alle disparità sociali.