Da circa dieci anni a questa parte il dossier libico non ha mai fatto calare su di sè l’attenzione mediatica nazionale. Probabilmente complici da una parte i legami storici e geografici che ci accomunano, e dall’altra la realtà di una costante instabilità politica e sociale che ha catalizzato l’interesse italiano in quanto Paese nodale nel panorama del Mediterraneo. 

Negli ultimi giorni però la Libia è ritornata a essere di strettissima attualità a livello internazionale, a seguito delle proteste di piazza degenerate venerdì scorso in saccheggi e devastazioni che hanno portato all’incendio del Parlamento di Tobruk. 

La comunità internazionale, tra cui il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, il suo consigliere speciale per la Libia, Stephanie Williams, e anche il segretario generale della Lega degli Stati arabi, Ahmed Aboul Gheit, hanno invocato il superamento dello stallo politico in cui versa il Paese nordafricano. 

In particolare quest’ultimo ha invitato tutti gli attori politici ad “assumersi le proprie responsabilità e prendere l’iniziativa di intensificare i contatti” per mettere fine a un blocco istituzionale che rischia di mettere a repentaglio la stabilità dell’area. 

In quanto la Libia, proprio come ci è stato restituito dalle analisi che abbiamo letto a seguito della visita a Washington del nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, è una questione di sicurezza dell’intero fianco meridionale e di salvaguardia e rafforzamento della dimensione energetica, in particolare ora che tutti si sono decisi a sganciarsi dagli approvvigionamenti russi. 

Ora che si è fatto riferimento all’incontro Draghi-Biden di maggio, è utile ritagliare uno spazio di riflessione su dove effettivamente si collochi la Libia tra le priorità italiane di politica estera. 

Se guardiamo da maggio ad oggi, la riposta sembrerebbe di facile portata: nella scala dei nostri interessi, il dossier libico detiene sicuramente un ruolo di spicco. 

Guardiamo i progressi nell’ambito dei confronti e delle dichiarazioni pubbliche…

A maggio 2022 il Presidente del Consiglio italiano ha detto al Presidente Biden che la Libia può essere un grande fornitore di gas e petrolio, non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa. Biden di tutta risposta, ha incalzato il nostro premier con una domanda: “Lei cosa farebbe?”. La risposta è stata tutt’altro che sibillina: “Dobbiamo lavorare insieme per stabilizzare il Paese”. 

Una richiesta non semplice dato che da tempo ormai l’attenzione degli Stati Uniti verso la Libia – e il Mediterraneo in generale – è diminuita…

È facile infatti pensare che nella visione statunitense, nell’ambito di una ripartizione degli interessi e dei doveri in chiave transatlantica, il fianco meridionale debba essere di stretta competenza europea. 

Ma Draghi intelligentemente ha reso nuovamente attuale il dossier agli occhi americani perché ha fatto leva sulla presenza della Russia nell’area, e quindi sull’urgenza di allontanarsi dal gas russo: il suo è stato un concreto appello a un maggiore coinvolgimento politico per l’Italia nelle questioni mediterranee ed energetiche. 

A qualche settimana di distanza da questo confronto, anche il Ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, ha sollecitato l’impegno della Nato che, come sin da ora sta accadendo in Libia, si troverà ad affrontare minacce tutt’altro che indirette a causa della fragilità della regione mediorientale e delle difficoltà in alcune regioni del Nord Africa e del Sahel. A fronte di questo avvertimento, sempre Guerini ha fatto presente che l’Italia già da tempo guarda con interesse all’Africa, indicando soprattutto la complessa situazione libica.

Proprio oggi invece, i giornali nazionali ci raccontano i contenuti dei colloqui tra il leader turco Erdogan e Mario Draghi, tra i temi trattati compare anche la stabilizzazione della Libia. Nella dichiarazione congiunta si legge: “Le Parti hanno riaffermato il forte impegno per la sovranità, l’integrità territoriale e l’unità nazionale della Libia, rifiutando fermamente qualsiasi azione unilaterale che possa portare alla violenza o a maggiori divisioni nel Paese; hanno sottolineato l’importanza di tenere al più presto elezioni presidenziali e parlamentari libere e regolari in tutto il Paese, su una solida base giuridica. Hanno ribadito il loro sostegno al processo politico facilitato dalle Nazioni Unite, guidato e gestito dalla Libia stessa”.

Ma nonostante il nostro ritrovato interesse, insieme agli scambi che si susseguono a livello internazionale sul fronte libico, quale ad esempio quello tra l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino, e la già citata inviata speciale delle Nazioni Unite Stephanie Williams che ha ultimamente ribadito la necessità di “sostenere un percorso costituzionale ed elettorale praticabile per consentire lo svolgimento delle elezioni il prima possibile”, l’intervento della comunità internazionale non sembrerebbe poter seguire un percorso privo di ostacoli. Innanzitutto perché, come ci viene restituito da alcune analisi, si avverte una riduzione di influenza da parte della comunità internazionale, dovuta anche al fatto che la crisi libica è oggi per lo più una questione interna.

Ed è proprio dal fronte interno che il Consiglio presidenziale libico ha reso noto, ieri, un piano volto a risolvere la situazione di stallo politico del Paese, rispondendo, in tal modo, “alle legittime richieste del popolo libico e al suo desiderio di cambiamento”. 

In una dichiarazione pubblicata sulla propria pagina facebook, il Consiglio di presidenza ha dichiarato di aver tenuto una serie di riunioni tra i suoi membri, durante le quali sembrerebbe esser stato raggiunto un accordo su un quadro di azione in grado di superare l’impasse politica attuale. Al contempo – si legge sempre nel comunicato –  il vicepresidente del Consiglio presidenziale è stato incaricato di tenere consultazioni urgenti con i partiti politici, così da raggiungere un consenso sui dettagli del piano e da lanciarlo, in un secondo momento, sotto forma di tabella di marcia con un percorso e punti di riferimento ben definiti. 

Tale quadro dovrebbe guidare la Libia nella fase di transizione, attraverso elezioni presidenziali e parlamentari da organizzare entro un periodo di tempo specifico. Un altro obiettivo è quello di raggiungere il consenso a livello nazionale sul progetto di cambiamento, in modo da rafforzare la fiducia tra tutte le parti politiche coinvolte. Gli elementi cardine alla base del piano sono: preservare l’unità della Libia, porre fine a eventuali conflitti e alle divisioni interne, rafforzare la pace esistente, evitare il caos, limitare le forme di ingerenza estera e incoraggiare una soluzione nazionale, da considerarsi prioritaria rispetto a qualsiasi altra cosa. Da parte sua, il presidente del Consiglio presidenziale, Mohamed Menfi, ha fatto sapere che il Consiglio stesso interverrà in caso di fallimento dei colloqui sulla pista costituzionale tra i presidenti della Camera dei Rappresentanti e l’Alto Consiglio di Stato, e ha rivelato che la base costituzionale per le elezioni è pronta.