Sono intervenuta in Aula, in dichiarazione di voto sul decreto Ucraina.
Nell’incipit del mio speech ho tenuto a ribadire, ancora una volta, che l’unica via percorribile in questa terribile situazione rimane quella del dialogo e dei negoziati, affinchè si fermi questo massacro umano e di valori.

“Purtroppo non siamo stati capaci di costruire, dopo la caduta del Muro di Berlino, un nuovo sistema di convivenza fra le Nazioni, che andasse al di là delle alleanze militari o delle convivenze economiche”.
Così il cardinal Parolin, segretario dello Stato Vaticano, facendo leva sul bisogno di politica e di diplomazia – e direi quasi a prescindere dalla sua estrazione religiosa – richiama la nostra attenzione. Di alcuni di noi, più avanti negli anni, che possono tornare con la mente ad altri momenti storici in cui il nostro Paese aveva un ruolo internazionale e una credibilità che ha via via dissipato; ma la mia generazione, coloro i quali un domani dovranno costituire la nuova classe dirigente del Paese, viviamo una fase di transizione e posso dire che scarseggiano gli sherpa in grado di accompagnarci lungo il percorso. Ma proprio spunti di riflessione come questo sono un richiamo forte per chi oggi è chiamato a servire la Repubblica, e che continua a credere necessario costruire un’Unione europea con un’anima politica, solidale e condivisa.

Attraverso la risoluzione di maggioranza la scorsa settimana abbiamo lasciato traccia della ferma volontà di quest’Aula di sostenere ogni iniziativa multilaterale e bilaterale utile ad una de-escalation militare attraverso un percorso negoziale, anche raccogliendo la disponibilità della Santa Sede – in quanto Stato terzo – a svolgere un’opera di mediazione.

Ma parallelamente a questi intendimenti, non potevamo lasciare solo il popolo ucraino nel corso della sua eroica resistenza. Con gli articoli 2 e 2-bis il Parlamento – in linea con il Governo – dà prova di interventismo democratico, che poco o nulla ha a che fare con una strumentale interpretazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione. E mi permetto di fare un inciso, perché forse questa speculazione portata avanti da alcuni, in Parlamento e fuori da esso, ha fomentato questo clima da psicosi e ha prodotto azioni come quella che ad esempio è successa ieri a Taranto. Al passaggio della Nave Carabiniere attraverso il ponte girevole del capoluogo ionico, un gruppo di cittadini ha ritenuto normale protestare lanciando oggetti verso il picchetto presente sulla nave e sull’imbarcazione stessa. Queste azioni sono gravissime non solo perché non restituiscono l’immagine positiva del rapporto fra Taranto e la Marina militare ma non restituiscono neanche la stima di quanti – non solo a Taranto ma in Italia – ritengono necessario e importante il lavoro svolto dalla Marina e da tutte le nostre Forze armate.

Sono ben conscia che già nel 1961, nel suo discorso di commiato, il presidente Eisenhower metteva in guardia gli americani dal crescente peso e dagli interessi mastodontici del cosiddetto complesso militare industriale. Si tratta di nodi gordiani con cui ci si dovrà confrontare tutti, in un mondo sempre più affollato, dalle risorse limitate, consci che la sopravvivenza del genere umano è legata ad una pacifica convivenza (funzionale a superare le prossime difficoltà e sfide) e a un abbassamento delle tensioni globali. Ma questo non significa girarci dall’altra parte di fronte ad un paese democratico aggredito da un autocrate in preda a mire espansionistiche mal calcolate.

Sull’accoglienza dei profughi provenienti dall’Ucraina, al di là del plauso alla decisione presa in sede europea sull’attivazione della protezione temporanea e dell’ammirazione nei confronti della rete solidale e di volontariato sostenuta dai cittadini, sottolineo la necessità di un maggiore sforzo di concertazione interministeriale, per evitare che i lodevoli gesti di altruismo e comunanza vengano compromessi dall’improvvisazione e dalla scarsa avvedutezza di chi, a livello locale, non conosce i necessari passaggi che possono garantire una sufficiente sicurezza e il buon funzionamento della macchina dell’accoglienza. Siamo chiamati sin da subito a promuovere chiarezza e trasparenza a livello nazionale, in particolare rispetto ai minori non accompagnati (ma non solo), proprio perchè a breve potremmo trovarci a subire il carico e l’urgenza dei grandi numeri.
Lo dobbiamo innanzitutto agli ucraini e a tutti coloro che scappano dal Paese in guerra, ma anche ai cittadini che con sacrificio e misericordia accolgono e donano, nonostante le difficoltà del momento post pandemico: insomma nessuno merita di subire alcuna speculazione a fine di lucro. Una realtà che purtroppo stiamo già avvertendo, come apprendiamo ad esempio dalla cronaca che ci viene restituita dal confine tra Polonia e Ucraina, dove sono stati segnalati casi di scomparsa di minori, di tratta di esseri umani ed estorsione nei confronti delle donne.
Le competenze a livello centrale coinvolgono vari Ministeri: l’Interno che deve veicolare informazioni puntuali e chiare alle Prefetture; il ministero della Salute per garantire l’esecuzione di tutte le misure sanitarie, anche e soprattutto fronte COVID (regioni); tutto l’apparato dell’educazione e della socialità dovrà essere pronto ad accogliere e integrare anche a livello linguistico i minori. In definitiva l’ossatura del decreto in discussione ha colto l’urgenza del momento, ma molto andrà fatto ancora per fornire più efficaci misure normative e garantire un utile impiego delle risorse stanziate sul fronte dell’accoglienza.

C’è poi in conclusione la questione dell’approvvigionamento energetico, su cui molto è stato detto e proposto in queste ultime settimane. Lo scoppio della guerra in Europa, il pericolo che gli interessi commerciali che ci legano alla Russia possano inevitabilmente subire il contraccolpo del conflitto, hanno giustamente accelerato il percorso di indipendenza dalle fonti energetiche estere. Ma dato che l’autonomia non è raggiungibile nell’arco di poche settimane, e a fronte della realtà che le fonti fossili costituiscono ad oggi le soluzioni energetiche maggiormente percorribili nel brevissimo periodo, in quanto elementi reperibili e trasportabili, capisco il significato di alcune affermazioni pubbliche relative alla seppur temporanea riconsiderazione delle centrali a carbone. Ad una condizione, ossia che non siano un pretesto per rallentare o peggio allontanare il pensiero rinnovabile che ormai da anni accompagna il nostro percorso europeo e nazionale verso la transizione energetica dei modelli produttivi e di consumo civile. Non possiamo permetterci di arretrare di fronte ad anni di lotta su territori che hanno visto i diritti fondamentali come salute, ambiente e lavoro schiacciati dal profitto.