Cosa ha intenzione di fare il Governo italiano per far fronte alla crisi economica, sociale e politica che ormai da tempo ha colpito il Libano?

È questa la domanda che ho posto al Governo nell’ambito del consueto question time del mercoledì. 

A più di un anno di distanza dall’esplosione che il 4 agosto 2020 ha devastato il porto di Beirut uccidendo 214 persone e ferendone oltre 7.000, in Libano è in corso una drammatica crisi, tra le prime dieci dalla metà del XIX secolo secondo un recente rapporto della Banca mondiale.

Da mesi scarseggiano farmaci e beni di prima necessità, l’approvvigionamento energetico è stato drasticamente ridotto, così come i servizi pubblici e finanziari, mentre il reddito pro capite, dal 2018, è calato del 40 per cento e il prodotto interno lordo del Paese si è ridotto nel 2020 del 20 per cento.

Alla crisi sociale si aggiunge l’escalation di violenza culminata nella manifestazione del 14 ottobre 2021, a un mese dalla formazione del nuovo Governo. Le proteste organizzate dagli sciiti di Hezbollah e Amal contro il giudice Tarek Bitar (che sta indagando sull’esplosione del porto di Beirut) hanno causato la morte di 7 persone e il ferimento di altre 30.

Perché non possiamo abbandonare il Libano

Il Libano è da sempre un Paese amico della Repubblica italiana, al quale lega l’Italia un rapporto di fiducia guadagnato in anni di missioni. Centro della cristianità mediorientale, il Paese è un partner strategico per l’Italia e per l’Europa, sia per il nostro posizionamento geopolitico nell’area Mediterranea sia per il contributo che potrebbe offrire per la stabilizzazione dell’intera regione.

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