Gli F-35 costituiscono il perno del programma denominato Joint Strike Fighter, siglato dall’Italia nel 1998.
A favore del programma F35 si sono pronunciati, in vari tempi, il governo Prodi, poi il primo D’Alema, poi il secondo governo Berlusconi nel 2002, di nuovo Prodi nel 2007, quindi il quarto governo Berlusconi nel 2009.
È importante capire che il cliente principale del Joint Strike Fighter sono le Forze armate degli Usa, il governo degli Stati Uniti infatti è dentro al progetto al 75%.
L’accordo è stato raggiunto tra gli Stati Uniti e altri sette Paesi, oltre il nostro; stiamo parlando di partner non allo stesso livello, ad esempio l’Italia insieme ai Paesi Bassi sono partner degli Stati Uniti di secondo livello con una partecipazione ai costi di sviluppo iniziali pari al 5%.
La mancata ‘europeizzazione’ del programma F-35
Perché l’Europa non si è premunita di un proprio programma sugli F-35? Le divisioni europee di tipo industriale e governativo hanno di fatto impedito di investire in un successore dell’Efa e del Rafale, velivoli ad oggi utilizzati dalle Forze armate.
Insomma i Paesi del vecchio continente non sono riusciti a mettersi in accordo sulla condivisione degli oneri e delle tecnologie. In questa lacuna si è inserito il piano americano.
I velivoli da combattimento denominati F-35 presentano punti di forza e debolezza:
Sono aerei di quinta generazione che ad oggi superano l’Efa e il Rafale (quarta generazione), attualmente in dotazione in Europa. Ne esistono di tre tipi: versione A normale, versione B a decollo verticale (utile soprattutto dalla Marina militare) e, versione C per le portaerei.
Il programma incontra due nodi cruciali, entrambi i problemi riportano nomi inglesi: cuncurrency e retrofitting. Per ciò che riguarda la cuncurrency è utile far riferimento alla sovrapposizione fra la fase di sviluppo del progetto e l’inizio della produzione. Gli aerei sono andati in produzione prima che fosse conclusa la fase di sviluppo e test. Questo aspetto comporta che i velivoli, una volta consegnati, devono inevitabilmente subire interventi di messa a punto. Il secondo problema è il retrofitting ossia il tagliando degli F-35 che è davvero molto costoso: non si tratta semplicemente di controllare l’olio o l’acqua come si fa per le automobili, quando si parla di F-35 si fa riferimento a parti di software ipersofisticate. Non a caso infatti la casa produttrice, la Lockheed Martin, ma anche il Pentagono hanno pensato in maniera lungimirante di mettere nel contratto base i costi del retrofitting, quindi del tagliando, a carico dei Paesi partner.
Un po’ di date sulla partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter
Il 18 dicembre 1998 l’Italia sottoscrive il Memorandum of Agreement, dopo il via libera delle commissioni parlamentari Difesa in base alla legge Giacché, norma ad oggi profondamente cambiata e relativa alla procedura di autorizzazione delle spese nel settore Difesa.
Cos’è il Memorandum of Agreement (MoA)? È un accordo di cooperazione, un documento scritto tra le parti per collaborare insieme ad un progetto o un obiettivo concordati.
Il 24 giugno 2002, confermato il parere positivo delle due commissioni Difesa, l’Italia aderisce alla fase successiva, quella di Sviluppo dei Sistemi (detta SSD).
Il 7 febbraio 2007, fu firmato il Memorandum of Understanding per la Fase di Produzione.
Cos’è il Memorandum of Understanding (MoU)? È un documento d’intesa che descrive un accordo bilaterale tra le parti, esprime quindi la convergenza di volontà tra le parti indicando una linea di azione comune.
L’MoU venne firmato con Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Canada, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi e Turchia per la fase di Production, Sustainment & Follow-on Development (PSFD), e comprendeva un impegno finanziario destinato a sostenere i costi non ricorrenti di produzione, industrializzazione e supporto logistico. La previsione era, all’epoca, di acquisire 131 velivoli, nonché la realizzazione, presso la base dell’Aeronautica Militare di Cameri (in provincia di Novara), di una capacità di assemblaggio e verifica finale (FACO), suscettibile di evolvere in una capacità di manutenzione (MRO&U). Il costo era stimato complessivamente in 13,5 miliardi di euro, a condizioni economiche 2008, tutti a valere sul bilancio ordinario della Difesa.
Il 26 marzo 2012, nell’ambito del programma di spending review dettato dalle impellenti esigenze di contenimento della spesa, il Ministro della Difesa italiano ufficializzava la riduzione del numero totale di velivoli da 131 a 90 unità.
La data più importante
Manca una data che, ad oggi, è la più importante per comprendere perché non corrisponde a realtà ciò che è stato riportato da molti giornali italiani, ossia il Movimento 5 Stelle o meglio l’attuale Governo non ha confermato nessun acquisto di F-35. Si tratta di una semplificazione giornalistica, per essere buoni, se non proprio di una bomba lanciata ad hoc sul Governo Conte per distrarre l’opinione pubblica.
L’osservatorio Milex ha rivelato che il 25 aprile (c’era ancora il governo Gentiloni), con gli scatoloni fuori dal portone di palazzo Baracchini, l’ormai ex Ministro Pinotti, ha firmato l’acquisto di altri 8 aerei destinati all’Italia.
La Ministra Pinotti ha firmato senza che il Parlamento ne fosse informato, sebbene sia previsto da un disposto legislativo che la maggioranza parlamentare possa vincolare il Governo a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che le Camere si siano espresse nel merito.
Questo porta l’impegno totale già assunto dall’Italia a 26 cacciabombardieri, alcuni già consegnati ed altri in fase di assemblamento.
Non è una giustificazione ma una realtà
Il contratto siglato è consultabile pubblicamente sul sito del Dipartimento della Difesa degli Usa. I lotti di F-35, 13 e 14, sono stati impegnati proprio dal Partito democratico a tre mesi dalle elezioni.
Le opposizioni che cavalcano questa inutile e strumentale polemica politica, citano pedissequamente uno stralcio tratto da una deliberazione risalente al 2017 della Corte dei Conti, la quale scrive a pagina 59: “L’opzione di ridimensionare la partecipazione nazionale al programma (Joint Strike Fighter N.d.R), pur non soggetta di per sé a penali contrattuali, determina potenzialmente una serie di effetti negativi”. Quindi l’organo ausiliario non si limita a riportare ‘non sono previste penalità contrattuali’ ma pone all’attenzione dei lettori uno scenario conseguente all’eventuale uscita dal programma sugli F-35. Perché chi, colto da raptus giuridico, non sostiene fino in fondo la tesi citata? La domanda è retorica…
Al di là delle considerazioni politiche che potrebbero essere fatte, andiamo sui fatti:
La posizione del Ministro Trenta è estremamente cauta quando afferma che “bisogna analizzare le implicazioni del tagliare” a scapito, aggiungo io, dell’indotto di natura tecnologica e occupazionale.
Tanto per citare la tanto richiamata deliberazione della Corte dei Conti
“Gli interessi economici in gioco sono significativi soprattutto dal punto di vista del profilo occupazionale […] La struttura di Cameri gioca un ruolo che mostra la sua concretezza nella costruzione delle ali, nell’assemblaggio dei velivoli nazionali e degli altri partners interessati (FACO) e nella manutenzione che potrebbe avere una importante proiezione futura (MRO&U) […] Alla continuazione del Programma corrispondono non solo i costi fin qui affrontati e i ritorni economici già realizzati ma soprattutto i costi in termini di perdite economiche ove avesse termine o si riducesse sostanzialmente la partecipazione al Programma. È stato, al riguardo già riscontrato come i ‘risparmi’ teoricamente ottenuti dalla diminuzione della flotta (5,4 miliardi) si siano riverberati in concrete perdite contrattuali (3,1 miliardi) che già ne hanno dimezzato il potenziale effetto, oltre alla perdita di ritorni industriali legata all’essere scesi sotto la soglia dei 100 velivoli”.
Qualche giorno fa ho letto una apprezzabile intervista…
A pagina 8 de «La Notizia» del 14 settembre 2018, il coordinatore della Rete italiana per il Disarmo, Francesco Vignarca, rispondendo a una intervista dichiara in maniera molto obiettiva: “La Ministra è stata chiara: si vuol cancellare il possibile e rivedere il programma. Bisogna capire ora se rivedere vuol dire rimodulazione temporale o anche auntitativa”.
Ora attenzione, perché Vignarca dice una cosa molto vera:
“Finchè non c’è il DPP non possiamo saperlo. Io però, credo che ci sia una volontà di rivedere costi e quantità”.
Cos’è Il Dpp?
È un acronimo che indica il Documento Programmatico Pluriennale, in questo caso valido per la Difesa. L’ultimo in ordine di pubblicazione è quello firmato dall’ex Ministro Pinotti, valido per il triennio 2017-2019.
Il Dpp potrà chiarirci le idee, fino ad allora le valutazioni politiche lasciano il tempo che trovano…
È previsto dalla legge n. 244 del 2012 in materia di revisione dello strumento militare. È importante perché il Documento definisce il quadro generale delle esigenze operative delle Forze armate. In esso è compreso l’elenco dei programmi d’armamento e di ricerca in corso e il relativo piano di programmazione finanziaria, indicante le risorse assegnate a ciascuno dei programmi per un periodo non inferiore a tre anni, compresi i programmi di ricerca o di sviluppo finanziati nello stato di previsione del ministero dello Sviluppo economico. Nell’elenco sono altresì indicate le condizioni contrattuali, con particolare riguardo alle eventuali clausole penali, le spese relative alla funzione difesa, comprensive delle risorse assegnate da altri Ministeri.
Ma adesso, alla luce di questa disamina, qualcosa ve la voglio dire in maniera personale…
Siamo in una fase davvero molto avanzata del programma, e anche se abbiamo espresso più volte in questi anni le nostre rimostranze nei confronti dello stesso non possiamo ignorare il fatto che abbiamo già 26 cacciabombardieri. Non ci sono calcoli ufficiali, ma si stima che l’Italia abbia finora speso circa 4 miliardi di euro. Cosa dovremmo fare a questo punto, buttare tutto oppure cercare una soluzione che crei ai cittadini il minor spreco possibile? Sicuramente verrà valutato attentamente ogni aspetto, per questo non posso che apprezzare la cautela adoperata dal Ministro Trenta. Sono convinta che questo Governo si stia spendendo al meglio sin dall’inizio, e continueremo a fare del nostro meglio, sempre mettendo al centro l’interesse dei cittadini e della Patria!