Secondo il vescovo della diocesi di Ondo “nel Sud-Ovest della Nigeria non ci sono mai stati attacchi del genere”. Eppure qualche ora fa, una strage di fedeli cristiani avvenuta nella chiesa di San Francesco di Owo (nello Stato nigeriano di Ondo) ha prepotentemente riacceso i riflettori su un territorio, che già gravemente colpito da una crisi alimentare, rischia di implodere in maniera definitiva.

È comunque verosimile che lo Stato di Ondo, almeno fino a qualche giorno fa, abbia rappresentato un’area abbastanza pacifica, in quanto lontana dalla zona saheliana della Nigeria, il Nord-Est, dove la formazione jihadista più attiva del Paese – Boko Haram – ha causato nell’arco di un decennio la morte di 50mila persone e obbligato oltre 3 milioni di uomini, donne e bambini a lasciare le proprie abitazioni, incrementando il fenomeno delle migrazioni coatte che, insieme a quelle legate al cambiamento climatico, minano sia la sicurezza interna che quella dei Paesi confinanti, come ad esempio il Niger.

In base a un primissimo bilancio diffuso da un ente pubblico nigeriano, sarebbero 22 le persone rimaste uccise nell’attentato di domenica, mentre 50 sono i feriti. Ad oggi non si conosce il motivo dell’azione, in quanto non vi è stata alcuna rivendicazione, nonostante alcune fonti locali abbiano ipotizzato che le uccisioni siano da attribuirsi a gruppi di ispirazione islamista, e altre invece hanno posto l’accento sulla natura etnica della strage. Difatti, sempre il vescovo della diocesi di Ondo ha specificato che “ci sono gruppi di criminali che vengono da altre parti dell’Africa occidentale, dalla Libia, dal Niger, dal Mali e banditi di Boko Haram arrivati dal Ciad”, i quali hanno appoggi che gli garantiscono le forniture degli strumenti per portare avanti questo tipo di atti.

Il dato iniziale, ossia quello relativo all’immunità di Ondo rispetto a queste azioni estremamente violente, fa ipotizzare che l’accaduto possa aprire a un cambio di scenario collegato a un cambio di strategia da parte dei vari gruppi armati e jihadisti già operanti in Nigeria. Soprattutto – come è stato detto prima – nel Nord-Est del Paese, dove all’attivismo di Boko Haram si affianca a quello dello Stato Islamico nell’Africa occidentale (Iswap), mentre al-Qaeda si materializza attraverso i miliziani di Ansaru. Ma la rete terroristica non è l’unico problema della Nigeria, a questo infatti bisogna aggiungere il fenomeno del banditismo armato che fonda le sue radici in un contesto fortemente instabile a livello economico e sociale.
Ad esempio il disagio sociale in Nigeria è alimentato – oltre che dalla crisi alimentare acuita dal conflitto in Ucraina – anche da quella energetica, sebbene il Paese figuri come il secondo produttore di petrolio dell’Africa subsahariana.

Un importante campanello d’allarme è stato lanciato dal premio Nobel nigeriano Wole Soyinka circa un anno fa, quando nel corso di una intervista ha affermato: “I nigeriani non potranno celebrare un altro giorno della democrazia se il sistema di governo non sarà decentralizzato”…
La corruzione è ormai strutturale, a fronte di uno scollamento visibile tra il contesto della politica locale e la popolazione, la quale si dimostra sempre più delusa dall’incapacità della classe dirigente di rispondere in maniera efficiente ai bisogni economici e di sicurezza.
Secondo un’analisi diffusa da un’agenzia d’informazione nazionale, il presidente nigeriano Muhammadu Buhari, che aveva promesso di sconfiggere Boko Haram, arginare la corruzione e ridurre la povertà, ha mancato tutti gli obiettivi, e anzi la soglia della povertà si è allargata, perché oltre il 50% dei nigeriani vive sotto quel limite.
A questo poi si aggiunge un ulteriore pericolo, ossia la pressione demografica: le Nazioni Unite hanno stimato che nel 2050 la popolazione nigeriana arriverà a 429 milioni di persone, di cui 152 sotto la soglia di povertà, e un bambino su tredici nel mondo sarà nigeriano.