Perché è importante che la discussione parlamentare sullo Ius Scholae – ossia una nuova forma di acquisizione della cittadinanza da parte dei minori previo svolgimento di corsi di istruzione presso istituti scolastici del sistema nazionale di istruzione o percorsi di formazione professionale per ottenere una qualifica professionale – continui senza ulteriori blocchi?
È arrivato il momento che il Parlamento inizia nuovamente a esprimersi sui diritti.
Al di là dell’emergenza, dei decreti del Governo che intervengono sulle scadenze da rispettare sul fronte del PNRR e sul rincaro dei prezzi con misure a favore di famiglie e imprese, oltre il doveroso confronto sulle riforme strutturali come una nuova legge elettorale per garantire al Paese una salda governabilità, o le misure nel campo del lavoro e delle pensioni, è necessario che chi rappresenta i cittadini dia seguito alla richiesta di riconoscimento ed effettiva integrazione di chi è di fatto italiano senza godere dei benefici della cittadinanza.
I ragazzi e le ragazze nati nel nostro Paese, o che sono arrivati qui entro i 12 anni, che vi risiedono legalmente, che abbiano frequentato o frequentino la scuola da almeno cinque anni, o chi per lo stesso tempo abbia seguito un corso di formazione e istruzione professionale per il conseguimento di una qualifica valida per lavorare, hanno il pieno diritto di acquisire la cittadinanza italiana.
Non possiamo voltare le spalle al futuro di questo Paese, e non è una questione politica ma un percorso che attiene a una piena integrazione; un inserimento sociale e una comprensione culturale e interculturale che del resto sono già in essere.
Perché i ragazzi e le ragazze che a causa di una politica ideologica e contraddittoria rimangono da anni in un limbo sono gli stessi che giocano, studiano, crescono con chi è cittadino italiano per nascita. Negare questa evidenza, continuando invece a permettere che all’estero si possa acquisire la cittadinanza italiana solo per discendenza, sebbene non si conosca la lingua o non si sia mai stati in Italia, oppure chiudendo gli occhi davanti a chi perde la nostra cittadinanza causa espatrio, significa promuovere disuguaglianza e discriminazione.
Sono tutti figli nostri, e chi in queste ore ha completamente chiuso la porta del confronto sventolando la solita bandiera del “prima gli italiani”, non comprende che in realtà sta lasciando indietro, letteralmente scaricando, una gran parte di cittadini italiani.