Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, perché in questo stesso giorno del 1960 furono uccise le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana. Per convenzione si è scelta questa data per ricordarci che ogni giorno dobbiamo impegnarci per liberare le donne dalla violenza in ogni sua forma, educare al rispetto della persona e dei diritti e contrastare gli stereotipi che sono alla base di una visione distorta di donne e uomini nella società.

La violenza sulle donne assume forme diverse: di solito la prima cosa che ci viene in mente è un atto fisico, sessuale o psicologico; ma poco si parla di una violenza altrettanto diffusa e lesiva, quella economica, difficilmente riconoscibile, poco denunciata, e che, insita nella nostra cultura, si radica anche nell’ambito familiare.
La donna ancora oggi è penalizzata nel mondo del lavoro, e ciò determina, di fatto, uno stato di subalternità economica, con tutte le devastanti conseguenze che ne derivano.

Se nella letteratura la violenza di genere ormai non è più un tabù, nella realtà continuiamo da millenni a essere schiavi di certi stereotipi tipici di una società patriarcale. Quanti luoghi comuni ho incontrato da quando ho scelto di dedicare il mio impegno alla cittadinanza attiva! Quante volte mi sono sentita ripetere “la politica non è una cosa da donne”, eppure grazie alle sue peculiarità naturali la donna si rivela molto più sensibile ed empatica verso il prossimo.

Non posso quindi fare a meno di ricordare una donna eclettica vissuta fra il IV-V secolo d.C., un fascio di luce che illuminò il Museo di Alessandria: Ipazia, una donna che poteva insegnare, sapere e dimostrare di essere all’altezza di qualunque interlocutore, dal fabbro al pretore, senza mai perdere la propria dignità o indossare una maschera. Una donna che ha cercato di imparare tutto ciò che l’umanità, fino a quel momento aveva scoperto, cercando anche di dare il proprio contributo. Eppure di lei non ci resta quasi nulla. Nel 415 d.C. un gruppo di Parabolani al soldo di Cirillo (uno dei quattro pilastri della Chiesa romana, che diffusero il Cristianesimo) attesero Ipazia mentre rientrava a casa, la trascinarono giù dal carro che guidava e la fecero a pezzi con cocci di vasi. Secondo alcun storici i suoi resti vennero sparpagliati per la città come monito per tutte le donne che avessero in futuro cercato di eguagliare gli uomini. Secondo altri storici i suoi resti vennero portati al Cinereo, la fornace pubblica, dove vennero bruciati perché di lei non potesse rimanere che il ricordo.

Nella società odierna una donna dovrebbe potersi esprimere al meglio, liberamente, vivendo con l’altro sesso un rapporto sano e di complementarità, in modo da vedere valorizzate le rispettive diversità.
Come la collega Celeste D’Arrando (firmataria di una mozione approvata dal governo il 14 novembre sul tema della violenza di genere), anche io “credo nell’importanza delle relazioni umane e della loro evoluzione culturale, e considero fondamentale lasciare in eredità ai nostri figli una società basata sul rispetto reciproco, sull’accettazione e sulla comprensione del diverso e sulla maggiore consapevolezza della sfera affettivo-sessuale”.