L’informativa resa dal Governo il 7 settembre, rappresenta un momento atteso dal Parlamento che già in parte, lo scorso 24 agosto, ha mostrato interesse e apprensione per gli sviluppi in Afghanistan, partecipando all’audizione straordinaria dei Ministri Di Maio E Guerini presso le commissioni riunite della Camera, Esteri e Difesa.

Sono stati molti i colleghi ad aver espresso posizioni politiche di attenzione soprattutto nei confronti delle fasce più a rischio: dai collaboratori ai civili afghani, donne e bambini in particolare. In Aula ho ribadito che la tutela dei diritti umani e soprattutto dell’accoglienza degli afghani in fuga non può rimanere una questione locale: oltre al doveroso coordinamento della gestione a livello nazionale, è importante che l’Europa si esprima all’interno della comunità internazionale, in maniera chiara e univoca. 

Questo aspetto è innanzitutto fondamentale per la costituzione di corridoi umanitari formalmente riconosciuti. Non solo per l’Afghanistan, ma per strutturare uno strumento utile anche per gli ulteriori flussi provenienti dalle numerose aree di crisi nel Mediterraneo e in Medio Oriente. 

L’Italia ha dimostrato in Afghanistan, e non solo, di essere competitiva a livello globale sul fronte della formazione delle forze locali e della cooperazione. Punti di forza che valgono sulla scena internazionale, ma anche oneri che abbiamo il dovere di rispettare. Difatti penso sia necessaria una maggiore chiarezza degli indirizzi politici futuri dell’Italia in Afghanistan e nell’intera regione. 

Nelle ultime ore si fa un gran parlare di difesa europea e di politica estera comune. Un’idea che sembra godere di ampio consenso e che appare come l’unico orizzonte possibile per avere finalmente un certo peso geopolitico come continente e comunità di nazioni, finora – ahimè – inesistente.

Allo stato però, è inutile nasconderlo, quest’orizzonte non è così vicino. È perciò ineludibile da parte del governo una puntuale definizione dei nostri obiettivi e interessi in Afghanistan, ora che qualunque considerazione sul bilancio della guerra e sulle responsabilità per l’esito a cui abbiamo assistito, per quanto legittima, sarebbe tutto sommato inutile.

In conclusione, c’è bisogno di intensificare le comunicazioni tra Governo e Parlamento sul fronte della politica estera, partendo ad esempio dalle commissioni competenti in materia. Vanno bene i documenti di analisi sugli aspetti di geopolitica, come anche le dichiarazioni pubbliche, ma questi stimoli devono essere discussi e interpretati all’interno di una chiave politica più ampia, maggiormente rappresentativa del Paese.

Il Parlamento dovrebbe essere nevralgico per la costruzione di un’Italia che propone ed è strategica in Europa e nella comunità internazionale.