L’immigrazione cos’è? Un fenomeno che scatena reazioni contrastanti: paura, accoglienza, diffidenza e, solo raramente riflessione. È difficile rispondere a questa domanda quando a prendere il sopravvento sono pseudo argomenti razziali piuttosto che i fatti. L’ultimo episodio che ha scatenato una maratona mediatica, ossia le 177 persone della nave Diciotti, indica la cifra del problema: la ‘percezione conta più dei dati concreti’ recita un passaggio della ricerca elaborata dall’Istituto Cattaneo, che rivela in quale misura gli italiani sovrastimino il fenomeno migratorio. Se infatti i numeri parlano di una presenza totale che si aggira intorno al 7%, la ‘percezione’ da parte dei cittadini italiani corrisponde quasi al quadruplo.
Orde di professionisti si sono levati in questi anni per spiegare come mai noi ‘abitanti del mondo esente da guerre, fame e miseria’ sviluppiamo una tale misura di timore o al contrario di totale apertura nei confronti dell’altro tanto da levarci a favore o in aspro disaccordo, anche se figli della stessa cultura, rispetto a decisioni magari discutibili, strumentali e alquanto forzate della politica. Sono tutti bravi a sindacare le opinioni del politico di turno ma mi è stato insegnato che le ondate migratorie sono sempre esistite e non possono essere fermate con i muri o con il filo spinato. Semmai ciò che ci rende umani è il nostro modo di intervenire per affrontare gli aspetti della convivenza nei paesi che accolgono e, creare nei paesi in crisi le condizioni affinché queste persone possano trovare canali legali per lasciare il loro paese (se realmente minacciati) o, creare condizioni economiche favorevoli affinché possano restarci. Questo sarebbe un duro colpo a tutto quel sistema che lucra sulle vite umane e che ha fatto del Mediterraneo il più grande cimitero della nostra civiltà.
Indossare una maglietta oppure ricorrere a slogan e manifestazioni ci aiuta a ‘lavare’ un pochino la coscienza ma non entra assolutamente nel merito di un problema sociale reale e concreto che meriterebbe soluzioni invece delle solite strumentalizzazioni.
Episodi come quello della nave Diciotti non devono più ripetersi, le persone a prescindere se esausti da una tratta infame o esenti da questi viaggi della speranza, non sono un dato da utilizzare per attaccare gli avversari politici! Non sono qui per trascinare qualcuno davanti al tribunale dei diritti umani ma avrei voluto che proprio nella città che ospita un contestato hotspot, addirittura entrato nel radar dell’Anticorruzione, nonché simbolo di un’accoglienza forzata tanto quanto le posizioni della politica, venisse mostrata più cautela e lungimiranza rispetto a un clima da tifoseria esasperata. Ma perché, secondo me, è importante deporre le armi del ‘noi contro la chiusura’ senza se, senza ma, senza ragioni che siano obiettive? È facile che in questi confusi frangenti si tenda attivamente a infiammare posizioni razziste, oppure al contrario si scada in un ottuso buonismo che si culla nella protesta contro la disumanità dell’uomo contro l’uomo. Ecco, non prima di aver preso un bel respiro e, prima di esprimere un giudizio (che può rivelarsi un pre-giudizio), dovremmo comprendere che la ricerca di una spiegazione che tenga conto soltanto dell’economia e della storia non è sufficiente a rendere pienamente conto di un fenomeno forse ancorato al nostro subconscio. In una piega della nostra mente, lo troveremmo in correlazione a terrori ancestrali e impulsi fisici. Il discorso quindi si complica, il razzismo è un’attitudine ‘innata’ o ‘appresa’? È un tratto che può essere inculcato in un bambino, fino a renderlo un atteggiamento automatico nell’adulto? E se fosse un meccanismo tracciato in ciascun individuo, da contrastare fin dall’infanzia affinché non si sviluppi nell’adulto? Questo è pane per antropologi.
Non presagisce nulla di buono il fatto che questo male persista sin da un certo colonialismo, disumano e ‘prenditore’ passando per le sue più recenti e moderne esacerbazioni. Quindi sta a noi non infettare con questa cancrena un’intera società, superiamo il darwinismo sociale (che qualche decennio fa ha camuffato crimini brutali in atti umanitari) perché non è altro che spicciola propaganda.
[Pezzo pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno – 31 ago 2018]