Il 4 agosto ricorre l’anniversario della terribile esplosione avvenuta nel 2020 nel porto di Beirut, un incidente che ha scatenato l’accelerazione della crisi politico-istituzionale in Libano. Lo scenario è tra i peggiori: la valuta locale ha perso oltre l’80% del suo valore in un solo anno, provocando un aumento dei prezzi di circa il 300%, la metà della popolazione vive in condizioni di povertà, vi è un’estrema difficoltà a reperire beni di prima necessità, la fornitura di energia elettrica procede a singhiozzo da tempo, e l’Unicef ha rilevato che più di 4 milioni di persone corrono il rischio immediato di perdere l’accesso all’ acqua potabile nelle prossime settimane.
Di fronte a questa catastrofe, l’Italia, che in Libano vanta una forte credibilità con eco internazionale, ha il dovere di fare tutto il possibile per aiutare il Paese a uscire dal pantano economico e dall’incertezza istituzionale in cui versa. Ho depositato una risoluzione per chiedere alcuni specifici impegni al Governo, ma prima di illustrarli credo sia utile delineare un quadro esaustivo della questione.
Il Libano, ben prima dell’esplosione del 4 agosto 2020, è stato teatro di numerose proteste popolari indirizzate principalmente contro la corruzione endemica del Paese. Tali proteste hanno esplicitamente identificato il confessionalismo come l’origine del fenomeno corruttivo. Gli equilibri di potere fondati sulla sua distribuzione interna in base a meccanismi settari espongono il Paese anche a crescenti interferenze esterne. Innanzitutto l’Hezbollah libanese che rappresenta il principale alleato non statuale dell’Iran e che, in base alla sua progressiva integrazione, ha acquistato in Libano sempre più una dimensione propria.
Parallelamente al quadro di crisi economica, politica e sanitaria, vi è anche l’aspetto umanitario da tenere in alta considerazione.
In Libano si conta la presenza di rifugiati siriani e campi palestinesi. Il loro permanere comporta alcune implicazioni politiche, in quanto i rifugiati vengono in parte strumentalizzati dallo Stato per ottenere finanziamenti internazionali, dall’altra utilizzati per giustificare la crisi economica.
Come sappiamo, l’impegno italiano in Libano vanta un percorso quarantennale che ha permesso al nostro Paese di accogliere il plauso delle Nazioni Unite e della popolazione libanese, oltre che del governo israeliano: l’Italia è quindi potenzialmente in grado di esercitare una forte influenza nell’area.
Non dimentichiamo che anche l’Unione Europea è pronta a contribuire a una risoluzione durevole dell’attuale crisi libanese, difatti durante il Consiglio “Affari esteri” del 12 luglio scorso, l’Alto rappresentante ha annunciato un’intesa politica secondo cui sarà istituito un regime di sanzioni nei confronti di persone o enti responsabili di compromettere la democrazia o lo Stato di diritto in Libano.
A fronte di questo scenario, la risoluzione a mia firma impegna il Governo a ricentralizzare il ruolo italiano affinchè concorra, attraverso i canali istituzionali e diplomatici, alla stabilizzazione politica del Libano, con la formazione di un governo duraturo che punti a un processo di riforme in grado di favorire una stabilità politica basata sull’uguaglianza dei cittadini di fronte ai diritti, la loro partecipazione alla vita pubblica del Paese, promuovendo in particolare la partecipazione femminile. Non ultimo poi, l’aspetto che fa leva sulla cooperazione internazionale, sarà utile incrementare l’invio di aiuti urgenti che vengano direttamente distribuiti alla popolazione.