Il 12 giugno Taranto, insieme a centinaia di altri comuni, eleggerà il prossimo sindaco della città. In queste ore, in occasione della festività del patrono del capoluogo ionico che ricorre oggi, l’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, ha diffuso il suo messaggio ai candidati sindaco e in linea generale a tutta la classe politica del territorio. 

Lascio qui uno stralcio del suo discorso, perché credo sia doveroso rifletterci sia alla luce dell’importante compito a cui è chiamata la futura classe dirigente cittadina sia della scelta che i cittadini dovranno esprimere. 

“La parola abusata di bene comune’ – ha detto Santoro – torni a riempirsi della sua naturale ricchezza e verità, a cominciare dalla correttezza nella campagna elettorale, perché si abbandonino i toni della delazione, perché la competizione venga fatta su realistici programmi, che i cittadini possano riconoscersi in rappresentanti che abbiano una specchiata condotta di vita, che sul serio servano questa città senza servirsene. Si diffidi dagli insulti e si pensi ai fatti. Solo partecipando si dimostra il bene per Taranto. Non c’è altra via. […] L’auspicata crescita economica non avvenga a scapito della sostenibilità ambientale”. 

Taranto non è il mio comune di residenza, ma mi sento comunque legata a livello politico e sociale al mio territorio.

Una città che in questi ultimi anni è rimasta spesso al centro della narrazione politica per mero tornaconto elettorale, subendo cambiamenti e decisioni dove al centro non c’è mai stato l’interesse pubblico e le esigenze di un territorio, che già da molto tempo non è più unicamente dedito alla grande industria. Un moto sociale e culturale di rinnovamento chiede maggiore partecipazione e chiarezza, pochi temi ma bilanciati rispetto alle potenzialità naturali dell’area.

Proprio ieri parlando di Europa e del ruolo dell’Italia a livello internazionale ho scritto che “lavorare a una risposta confacente alle attuali esigenze significa anche allontanarsi da un vizio di fondo che molto spesso caratterizza la politica a tutti i livelli, ossia il far prevalere discorsi troppo generali e fintamente trasversali sulla considerazione della dimensione singolare della vita e della sua fragilità”. Ebbene, mutuando questo concetto da Massimo Recalcati, penso che anche a Taranto, la crisi sociale che è scaturita dalla mancanza di una concreta prospettiva e dall’impoverimento economico di un territorio con le mani legate, non hanno fatto altro che marcare la distanza tra cittadini e istituzioni, esacerbando il confronto sulle strategie di riforma e promuovendo la volatilità delle decisioni prese sulla scia del consenso.